domenica 26 dicembre 2010

drawings




gioia















gratitudine











emozione












voglia di luce














rabbia - delusione














senso di rabbia













no title












nuvole








vento












sabato 4 dicembre 2010

Nel giorno del tuo compleanno -

desidero solo Silenzio





questa sera desidero solo
Silenzio
e perdermi
nella fiamma di una candela
e richiamare alla mente
il calore del tuo abbraccio
e sentire
il tuo profumo
e la tua voce che mi racconta
e la tua mano rugosa nella mia.
ma sento solo quel respiro affrettato,
affannato, faticoso, disperato
alla ricerca di aria. di vita.
sento solo i rantoli.
sento l’ultimo, profondo, Respiro.
sento la Vita che se ne va.
sento il Silenzio.


Nel giorno del tuo compleanno non posso non ricordare uno dei giorni più belli, l’unico compleanno vissuto insieme come famiglia. Davanti agli occhi ho le immagini di quel giorno pieno di risate, di abbracci, di felicità. Mi mancano quelle risate, mi mancano quegli abbracci. Mi manca quella felicità. Nonostante la tristezza che avevo nel cuore nel sapere che sarebbe stato l’ultimo tuo compleanno con noi e che te ne saresti andata presto, riuscivo a farti ridere e a rendere tutto speciale, perché volevo darti , per quel poco che ti rimaneva ancora da vivere, quello che ti era stato tolto, volevo vederti sorridere, volevo vederti felice.
Volevo che il tempo si fermasse. Volevo rimanere così per sempre. Per l’eternità. Perché eravamo noi. E questo bastava. E questo era il mondo. Era il mio mondo. E non importava niente del resto.

Quando vengo a trovarti mi capita ancora di voler fermarmi lì con te. Pensavo di esserne fuori. Ma stamattina guardando la tua foto sorridente sulla lapide avrei voluto essere ancora con te. Come quando S. ha scelto la morte ho pensato che lui adesso è dove per tanto tempo avrei voluto -o a questo punto dovrei dire ‘dove vorrei’?- essere anche io. Con te. Con voi. Perché spesso le nostre più grandi gioie sono anche i nostri più grandi dolori. Tormenti. E oggi mi sento ancora tormentata, ricaduta nel baratro dei ricordi che non danno sollievo, ma lacrime , e una profonda tristezza che avvolge tutto il resto , che crea un enorme vuoto attorno e dentro di me. E un solo desiderio. E questo mi fa sentire in colpa una volta ancora. E mi scava dentro una voragine, mi divora come quel cancro che ti ha portata via. E mi fa sentire impotente, ancora una volta.
E oggi mi risuona in testa ancora quella domanda. Come un disco rotto continua e continua e continua. Perché inevitabilmente associo la tua nascita con la tua morte. E mi chiedo Sono stata io? Ma so che non ci sarà mai una risposta. Non avrò mai la mia risposta.
E oggi ancora mi porto nel cuore quel tormento. E cerco un’assoluzione che forse non arriverà mai. Ho bisogno di un’assoluzione che forse non avrò mai. Per andare avanti. O per chiudere.

Burn everything inside of me
The final curse is inside of me
I’m surrounded by the dark cloak of the night
I have lost the faith in holy words ,
I have lost my way home
I’m so tired of wandering all around
without a destination
Burn and give me the light I search
Or burn and give me the peace
Be my guide through the darkest night
Give me Rest or give me Peace

venerdì 26 marzo 2010

La locanda - Gialāl ad-Dīn Rūmī



Una poesia del più grande poeta mistico persiano, fondatore della confraternita sufi dei dervisci.



L'essere umano è una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.

Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.

Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri
che devasta violenta la casa
spogliandola di tutto il mobilio,

lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.

Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.

Sii grato per tutto quel che arriva,
perché ogni cosa è stata mandata
come guida dell'aldilà.

lunedì 22 marzo 2010

Libera - Valentina Giovagnini

Oggi camminavo per strada ascoltando Valentina... quanti ricordi, quanti bei momenti... sembra che non se ne sia mai andata...ed è difficile pensare che invece è proprio così...Ed è stato difficile essere al lavoro avendo nelle orecchie la sua voce e vecchi ricordi...e l'immancabile tristezza che il pensiero del "mai più" porta con sè... un abbraccio Vale...ovunque tu sia...


Amami sognami come neve su di te
sfiorami ali leggere nell'aria
Parlami pensami come l'unica tua idea
cantami come una nenia nell'aria
Io sono in volo sono libera
non ho confini intorno a me
sono un pensiero sono musica
Amami sognami come nuvola su te
pensami come una luce lontana
Io sono in volo sono libera
Non ho confini intorno a me
sono un pensiero sono musica
E' la mia fantasia che mi porta via
La realtà non è mai una verità
Nessun mondo è lontano ovunque tu sia

giovedì 18 marzo 2010

Sono arrivata a pensare che


Sono arrivata a pensare che qualunque cosa io faccia o dica non ha valore.
Sono arrivata a pensare che l’oblio è meglio della vita vissuta.
Sono arrivata a pensare che la fuga sia l’unica cosa che io possa fare. Fuggire dalle cose e soprattutto dalle persone. Allontanarmi da loro e allontanarle da me. Non avvicinarmi a loro e non farle avvicinare a me. Perché le parole dette una sera dalla persona che forse più ho amato continuano a risuonarmi in testa e tutte le volte sono una pugnalata e tutte le volte mi fanno morire dentro. “Tu con una mano mi avvicini e con l’altra mi respingi”. E il fatto che lei abbia pensato questo, anche se solo per un istante, è uno dei miei più grandi rimorsi. E non mi dà pace. Mi tormenta. Continuamente. Ossessivamente.
Sono arrivata a pensare che l’unico modo per sentirmi viva sia farmi del male. Ma è davvero l’unico modo?
Sono arrivata a pensare che qui non ci sia posto per me. Per via di un vecchio rifiuto. Ma che c’entro io?
Sono arrivata a pensare che c’è un solo modo per stare meglio. Ma la soluzione non può essere quella. Altrimenti che senso avrebbe tutto il resto?
Sono arrivata a pensare che il mio posto sia con i morti. Perché loro sono in pace. Perché mi manca la loro presenza, il loro contatto fisico, i loro abbracci, il loro amore.
Sono arrivata a pensare che la mia vita non è nulla. La vita non può essere nulla.
Sono arrivata a pensare che io non sono nulla.
Sono arrivata a pensare che non sono nulla perché non so chi sono. Perché una persona non ha fatto la cosa giusta, devo essere io a sentirmi così? È così importante? E perché mi deve fare sprofondare in un abisso? E perché devo espiare io le loro mancanze?
Sono arrivata a pensare che l’amore non è altro che una catena. L’amore non può essere questo. O solo questo.
Sono arrivata a pensare che questo stare male è tutto quello che mi merito. Che non posso aspirare ad altro.
Sono arrivata a pensare che la solitudine sia la mia sola ed unica condizione.
Sono arrivata a pensare che per me non può esistere felicità, o amore, o amicizia. O serenità. O pace. Ed è giusto non avere mezze misure nell’essere felice o nell’essere triste? Nel fatto che non esistono piccole gioie o piccoli dispiaceri, ma solo grandi gioie e profondi dispiaceri?
Sono arrivata a pensare che io mi devo fare carico delle colpe e delle mancanze altrui.
Sono arrivata a pensare che devo proteggere le persone dalle cose brutte, che dipendano o meno da me, e che questo è il mio compito. Spetta davvero a me far sì di proteggerli?
Sono arrivata a pensare che la rabbia che provo sia giusta. Ma è rabbia verso di me. Per cosa non so. Forse perché permetto a cose o persone al di fuori, che non contano niente, di farmi del male. Di avere un qualche potere su di me. Di manipolare i miei pensieri e i miei sentimenti. Anche se per loro io è come se neanche esistessi. Ma io lascio che entrino nel mio cuore e li lascio distruggere quello che di buono c’è dentro. Li lascio calpestare ogni ricordo, ogni cosa bella, ogni cosa viva.

mercoledì 17 marzo 2010

solo il mio angelo



solo il mio angelo
può leggere quello che c’è nel mio cuore
solo il mio angelo
può rendermi libera
perchè solo il mio angelo
conosce le note per farmi impazzire
e quelle per farmi gioire
le note per farmi morire
e quelle per farmi vivere

la ricerca


Si è soli dentro come lo si è fuori. Né più né meno. Cosa porta l’uomo ad essere solo? Il carattere? Cosa cerca l’uomo? E mi fermo. Osservo gli aghi del pino caduti nei solchi tra i porfidi, o i mozziconi delle sigarette, le formiche. Sono stanca. Di cercare qualcosa. E di non trovarlo mai. Perché la ricerca a volte ti arricchisce. Perché a volte anche se non trovi quello che vai cercando, comunque trovi sulla strada qualcosaltro che magari è anche meglio. Anche se non lo avresti mai pensato. Ma a volte la ricerca non ti arricchisce. Ti impoverisce. In spirito. In forza. E intacca la tua fede nell’enorme potere dei sogni. Che si sgretola poco a poco. E quando i sogni non hanno più potere , è la fine. Almeno per le persone per le quali i sogni sono importanti, che al mattino si alzano perché c’è ancora qualcosa da sognare.

ed è solo domenica mattina



barcolla
quasi un passo di danza il suo
tra neon e scaffali di maglioni piegati
gli occhi persi
lasciati nel fondo di una bottiglia
parole strascicate
solitudine di un’anima nella notte.

ed è solo domenica mattina.

sabato 13 marzo 2010

cicatrici



ma il cuore non si ribella mai quando viene maltrattato?
quando sembra un pezzo di stoffa pieno di rammendi, o un corpo pieno di cicatrici?
i rammendi ricoprono lo strappo, le cicatrici rimarginano la ferita, ma non sarà mai come prima.
il segno rimane.
il segno di quello che è successo.
il segno che ti ricorda in ogni istante quello che vorresti non solo seppellire in un angolo nascosto del tuo cuore e della tua mente, ma che vorresti dimenticare, come se niente fosse mai accaduto.
tagliare via un pezzo della tua vita come si fa con un pezzo di carta.
le cicatrici sono lì sotto i tuoi occhi.
sulla tua pelle.
nella tua mente.
e nella tua anima.
e fanno da sottofondo alla tua vita.
anche se non lo vuoi.
anche se lo nascondi.
sono il 'paesaggio' davanti al quale scorre la tua esistenza.
sono lì dietro, come il telo bianco in una fototessera, una scenografia a teatro.
sono la colonna sonora della tua vita che ti accompagna passo dopo passo.
ovunque.
sempre.
e per sempre.
niente sarà mai più come prima.

vorrei



vorrei essere un essere senza cuore
vorrei essere un essere senza amore
vorrei essere un essere senza vita

vorrei vivere nel sole
vorrei vivere nel cielo
sopra una nuvola leggera

vorrei vagare nell’immensità del cielo
vorrei vagare nell’eternità del tempo
vorrei vagare nell’irrealtà del sogno

vorrei non ricordare
vorrei non scordare
vorrei sprofondare

vorrei bruciare
vorrei morire

vorrei vivere

venerdì 12 marzo 2010

senza far rumore



una foglia cade
da un albero
penso alla vita che se ne va
senza far rumore
in sordina esce dalla porta
senza che nessuno
se ne accorga

giovedì 11 marzo 2010

nessun senso



nessun senso ...
ma allora la vita ?
l’ho persa per strada,
una notte d’agosto,
oppure a un incrocio,
chissà, scendendo dal tram
o in un pianto non pianto.

E le stelle ci stavano a guardare



Una carezza,
un sorriso,
una stretta di mano.
Un abbraccio,
un bacio,
un addio.
Un addio
mentre le stelle
ci stavano a guardare,
da lassù chissà
qualcuno vicino a te,
qualcuno caro a me.
Seduta sui gradini di una chiesa,
a notte fonda col buio intorno,
le strade erano deserte,
come lo era in quel momento
il mio cuore
che non riusciva a dimenticare
il fatto che te ne dovevi andare
senza mai più tornare.
E le stelle da lassù
mi stavano a guardare.

Vorrei che fossero lacrime



La pioggia cade sulle mie mani,
lungo la schiena scorre.
Sembrano tante lacrime
che dai miei occhi scendono,
ma sono solo gocce,
gocce di pioggia
cadute dal cielo,
quello stesso cielo
che ieri mi dava
sicurezza e calore,
mentre oggi solo tristezza.
Cammino per strada,
le mani in tasca,
non vedo nessuno,
sono sola in mezzo alla via,
ma non solo.
E vorrei che quelle sul mio volto
fossero lacrime,
non gocce di poggia.
Vorrei essere capace di piangerle,
le lacrime che ho dentro,
vorrei che scorressero libere,
ma non ci riesco.
Allora guardo il cielo,
riecheggia una sola domanda
‘Perché?’.
Vorrei che fossero lacrime,
ma sono solo gocce di pioggia.

Amici e ricordi



In mezzo alla strada,
amici comuni,
ricordi lontani,
parlando dei sogni
e delle nostre speranze
andate perdute
col passare del tempo.

sabato 6 marzo 2010

rivivo



rivivo
la tua angoscia
nella solitudine dell’abbandono
e lo strazio incessante
nel sentirti
non voluta

forse perchè



Ridursi ad osservare un puntino invisibile sul muro per ore.
Ridursi a non pensare a niente.
Ridursi a versare delle lacrime che non hai pianto per cose più importanti, più vere e per questo sentirti in qualche modo colpevole. O forse è perché non le hai piante allora, e la volta dopo di allora, e la volta dopo ancora, che adesso non riesci a fermarle.

venerdì 5 marzo 2010

Sull ascoltare - J.Krishnamurti


*Il rumore delle parole*

Ascoltare è un'arte che non è facile acquisire, ma che porta con sé bellezza e comprensione profonda. Ascoltiamo dalle profondità del nostro essere, ma il nostro ascolto è sempre alterato da preconcetti o dai nostri particolari punti di vista. Non siamo capaci di ascoltare direttamente, con semplicità; in noi l'ascolto avviene sempre attraverso lo schermo dei nostri pensieri, delle nostre impressioni, dei nostri pregiudizi... Per poter ascoltare ci deve essere calma dentro di noi, un'attenzione distesa, e non deve esserci il minimo sforzo tendente ad acquisire qualcosa. Questo stato vigile e tuttavia passivo è in grado di ascoltare quello che è al di là dei significati delle parole. Le parole portano confusione; sono solo un mezzo di comunicazione esteriore, ma per trovarsi al di là del rumore delle parole è necessario ascoltare in uno stato di vigile passività. Coloro che amano sono capaci di ascoltare, ma è estremamente raro trovare chi sia capace di farlo. La maggior parte di noi è troppo occupata a raggiungere degli obiettivi, a ottenere dei risultati; stiamo sempre cercando di andare oltre, di conquistare qualcosa, così non siamo in grado di ascoltare. Solo chi ascolta veramente può cogliere la melodia delle parole.

*Saper ascoltare*
Vi siete mai seduti in silenzio senza fermare l'attenzione su una cosa qualsiasi, senza fare il minimo sforzo per concentrarvi, con una mente davvero calma? Se lo fate, potete ascoltare i rumori lontani e quelli vicinissimi a voi: siete in contatto coi suoni. Allora state veramente ascoltando. La vostra mente non si limita a funzionare attraverso un solo insufficiente canale. Quando ascoltate in questo modo, con grande tranquillità, senza sforzo, scoprite che dentro di voi avviene un cambiamento straordinario, un cambiamento che non dipende dalla vostra volontà e che si produce senza che voi lo chiediate; è un cambiamento che porta con sé l'immensa bellezza di una percezione profonda.

*Ascoltare senza schermi*
Come ascoltate? Ascoltate attraverso le vostre proiezioni, le vostre ambizioni, i desideri, le paure, le angosce? Ascoltate solo quello che volete sentire, solo quello che vi soddisfa o che vi lusinga? Ascoltate solo quello che vi conforta e che attenua momentaneamente la vostra sofferenza? Se ascoltate attraverso lo schermo dei vostri desideri è ovvio che state ascoltando solo la vostra voce: state ascoltando solo i vostri desideri. Ma esiste un altro modo di ascoltare? Non è forse importante scoprire come si possa ascoltare, non solo quello che dicono gli altri, ma qualunque cosa: il rumore della strada, il cinguettio degli uccelli, lo sferragliare del tram, il fragore delle onde, la voce di vostro marito o di vostra moglie o quella dei vostri amici, il pianto di un bambino? Ascoltare diventa importante quando smettiamo di proiettare i nostri desideri. Possiamo mettere da parte tutti gli schermi che ci impediscono di ascoltare veramente?

*Non lasciate spazio al pensiero*
Avete mai ascoltato il canto di un uccello? Per poter ascoltare, la mente deve essere calma, una calma che non c'entra nulla col misticismo. Io vi parlo e voi, se volete ascoltarmi, dovete stare in silenzio; non potete farvi ronzare nella testa le idee più diverse. Quando guardate un fiore, guardatelo senza dargli un nome, senza classificarlo, senza stabilire a quale specie appartenga; solo così potete guardarlo veramente. Ma farlo è una delle cose più difficili, proprio come è estremamente difficile saper ascoltare: ascoltare un comunista, un socialista, un politico, un capitalista; oppure vostra moglie, i vostri figli, il vostro vicino, A conducente dell'autobus, il canto di un uccello. Potete ascoltare con estrema semplicità solo quando non date spazio a un'idea o a un pensiero: allora può esserci contatto diretto; e quando siete in contatto, capite se quello che vi dicono è vero o falso. Non avete bisogno di discutere.

*Il vero ascolto porta con sé la libertà*
State davvero ascoltando quando vi sforzate di farlo? E vostro sforzo non è forse una distrazione che impedisce l'ascolto? Dovete forse sforzarvi per ascoltare qualcosa che vi rallegra? Finché la vostra mente sarà impegnata a fare sforzi, a confrontare, a giustificare, a condannare, non potrete rendervi conto della verità, non potrete vedere il falso per quello che è... L'atto di ascoltare è completo in se stesso; il semplice atto di ascoltare porta con sé la libertà. Ma a voi interessa veramente ascoltare? Oppure quello che vi importa è intervenire per tentare di modificare la confusione che vi portate dentro? Se ascoltaste... cioè se vi rendeste conto delle vostre contraddizioni, dei vostri conflitti, senza preoccuparvi di costringerli a entrare in un particolare schema di pensiero, forse questi finirebbero. Vedete, noi stiamo sempre cercando di essere qualcosa, di raggiungere uno stato particolare; vorremmo fare determinate esperienze ed evitarne accuratamente altre. Ma in questo modo la nostra mente rimane sempre occupata, non è mai tranquilla, non è mai in grado di ascoltare il rumore delle sue lotte e delle sue pene. Siate semplici... non cercate di diventare qualcosa o di aggrapparvi a qualche esperienza.

*Guarda intensamente*

Ho l'impressione che tanto l'atto di imparare, quanto l'atto di ascoltare ci risultino straordinariamente difficili. Noi non ascoltiamo mai veramente, perché la nostra mente non è libera; le nostre orecchie sono imbottite di tutta la conoscenza che portiamo sempre con noi, così ascoltare diventa straordinariamente difficile. Penso - anzi, è un fatto - che se potessimo ascoltare con tutto il nostro essere, con una vigorosa vitalità, allora l'atto di ascoltare diverrebbe un fattore di liberazione. Ma sfortunatamente voi non ascoltate, perché non avete mai imparato a farlo. In fondo, potete imparare qualcosa solo quando vi impegnate con tutto il vostro essere. Imparate la matematica solo quando vi ci dedicate totalmente; ma se vivete in uno stato di contraddizione, cioè se venite forzati ad imparare mentre non avete alcuna intenzione di farlo, allora l'imparare si riduce ad un vuoto processo di accumulazione.
Quando leggete un romanzo nel quale si muovono innumerevoli personaggi, se volete seguirne le vicende, dovete impegnare tutta la vostra attenzione; non potete pensare ad altre cose. E' di un'attenzione simile che avete bisogno per imparare. Se volete sapere come è fatta una foglia, una foglia di primavera o una foglia d'estate, dovete guardarla per vederne la simmetria, l'intessersi delle fibre, per sentirne la qualità. Una foglia è
viva. In ogni foglia c'è bellezza, vigore, vitalità. Se volete imparare qualcosa che riguardi una foglia, un fiore, una nuvola, un tramonto o un essere umano, dovete guardarli con tutta l'intensità del vostro cuore.

Il silenzio - Hazrat Inayat Khan



Vi è un detto: " Le parole sono preziose, ma più prezioso è il silenzio ". Questo detto risulta sempre profondamente vero. Più ne capiamo il significato, più realizziamo questa verità. Quante volte durante il giorno ci capita di dire qualcosa che sarebbe stato meglio tacere! Quante volte disturbiamo la pace del nostro ambiente con una involontaria mancanza di silenzio. Quante volte riveliamo le nostre limitazioni, la nostre meschinità, la nostra grettezza, che avremmo potuto nascondere, se solo avessimo taciuto! Quante volte, benchè desiderosi di rispettare gli altri, non riusciamo a farlo, perchè non sappiamo tacere. Per un uomo che vive in questo mondo un grande pericolo sta in agguato, il pericolo di confidarsi con una persona, con la quale non volevo confidarsi.
Corriamo questo pericolo non sapendo tacere. Un grande interprete della vita, il poeta persiano Sa'di dice:
"Che valore ha il buon senso, se non viene in mio soccorso prima che io pronunzi una parola! "

Questo ci dimostra che malgrado la nostra saggezza, possiamo fare uno sbaglio, se non abbiamo un buon controllo nelle parole che usiamo. Di questa verità troviamo facilmente degli esempi: coloro che parlano molto, hanno minor potere di coloro che parlano poco. Una persona loquace può non essere in grado di esprimere un'idea in mille parole, mentre chi è padrone del silenzio, sa esprimersi con una sola parola. Tutti possono parlare, ma non tutte le parole hanno la stessa potenza. Inoltre, una parola dice meno di quanto sappia esprimere il silenzio. La nota fondamentale di una vita armoniosa è il silenzio.
Nella vita di ogni giorno esistono preoccupazioni a cui non sempre possiamo far fronte e allora solo il silenzio può aiutarci. Poiché, se vi è una religione, se vi è un modo per mettere in pratica la religione, è quello di compiacere Dio, compiacendo l'uomo. L'essenza della religione è di capire il prossimo. E non possiamo vivere questa religione se non dominiamo la parola - e se non ci rendiamo conto del potere del silenzio. Spesso ci sentiamo di aver ferito un amico; avremmo potuto evitarlo, con un maggior controllo sulle parole. Il silenzio è lo scudo degli ignoranti e la protezione dei saggi. Perché l'ignorante cela la sua ignoranza col tacere, e il saggio non getta le perle ai porci, se conosce il valore del silenzio. Che cosa ci dà potere sulle parole? Che cosa ci dà questa forza, che può essere ottenuta col silenzio? La risposta è: la forza di volontà; e ancora: è il silenzio che ci dà il potere del silenzio. Quando una persona parla troppo, dà segno di irrequietezza. Più parole vengono usate per esprimere un'idea, meno forza hanno. È un vero peccato che si pensi cosi spesso a risparmiare i centesimi e mai a risparmiare le parole. E come conservare ciottoli e gettare vie perle. Un poeta indiano dice:
"Conchiglia, da dove viene il tuo prezioso contenuto? Dal silenzio; per anni e anni le mie labbra son rimaste chiuse ".

Per un po' di tempo, si lotta con se stessi; si cerca di controllare gli impulsi; poi però, la stessa cosa si trasforma in forza. Veniamo ora alla spiegazione più scientifica e metafisica del silenzio. Le parole consumano un certo quantitativo di energia e il respiro, che dovrebbe portare nuova vitalità al corpo, viene ostacolato nel suo ritmo normale, se si parla costantemente. Non è che una persona nervosa parli troppo; è il parlare tanto che la innervosisce. Da dove viene il grande potere dimostrato da fachiri e da yogin? Dall'aver imparato a praticare l'arte del silenzio. Questa è la ragione per cui nell'est, nelle case e nelle corti in cui i fachiri meditavano,vi era silenzio. Certe volte diverse civiltà del mondo, veniva insegnato alla gente, quando si riuniva per festeggiare, di tacere, per un po' di tempo. È molto triste che questo problema attualmente sia cosi trascurato e che pochi ci pensino. È un problema che riguarda la salute, che tocca l'anima, lo spirito, la vita. Più pensiamo a questo argomento e più ci accorgiamo di essere continuamente coinvolti in qualche attività. Dove ci porta ciò, quale ne sarà l'esito? Per quanto possiamo vedere, ci porti i battaglie, rivalità e situazioni sempre più aspre. Visti i risultati, constatiamo che tutto ciò non fa che procurarci maggiori preoccupazioni, fastidi e lotte. Vi è un detto indù: "Più si cerca la felicità, più infelicità si trova ". La ragione è che quando la felicità viene cercata in direzione errata, ci si procura infelicità. La nostra esperienza è sufficiente a farcelo capire; ma la vita ci stordisce, le azioni ci assorbono e non ci fermiamo mai a pensarci.

Pare che il mondo si stia svegliando agli ideali spirituali; tuttavia vi è più attività - non solo attività esterna - ma anche attività mentale. Veramente l'umanità ha i nervi a pezzi per la mancanza di silenzio e per la superattività, del corpo e della mente. Quando il corpo riposa, l'uomo dice che dorme. La sua mente però continua ad agire, come di giorno. In questo mondo competitivo, l'uomo è cento volte più indaffarato di quanto lo sia mai stato prima. Naturalmente egli necessita di più riposo, quiete e pace, che non una persona che vive nella foresta e che ha tempo a disposizione. Quando l'attività cresce a tal punto e si perde l'arte del silenzio, che cosa ci si può aspettare?

Dove imparare il raccoglimento? Nel silenzio. Dove praticare la pazienza? Nel silenzio, Il silenzio praticato durante la meditazione è ancora un'altra cosa. Silenzio significa che dovremmo badare a ogni parola e a ogni azione che facciamo: questa è la prima lezione. Ogni persona veramente meditativa, ha imparato a servirsi del silenzio, naturalmente, nella vita di ogni giorno. Chi ha imparato il silenzio nella vita di ogni giorno, ha già imparato a meditare. Una persona può riservare mezz'ora al giorno per la meditazione, ma quando, di fronte a mezz'ora al giorno per la meditazione, ve ne sono dodici o quindici di attività, l'attività priva di forza la meditazione. Quindi le due cose devono camminare insieme.
Una persona che desidera imparare l'arte del silenzio deve decidere, per quanto lavoro abbia da fare, di conservare nella mente il pensiero del silenzio. Se non si tiene conto di questo, non si raggiungerà mai il pieno beneficio della meditazione. È come una persona che va in chiesa una volta alla settimana e negli altri sei giorni tiene i propri pensieri il più lontano possibile dalla chiesa.
A un re persiano, molto pio, il primo ministro chiese: " Voi meditate gran parte della notte e lavorate tutto il giorno. Come è possibile? ". E lo Shah disse: " Durante la notte sono io che inseguo Dio, durante il giorno è Dio che mi segue ". La stessa cosa avviene col silenzio: chi cerca il silenzio, sarà cercato dal silenzio. Ed è cosi con tutte le cose che desideriamo: se le cerchiamo abbastanza, esse, col tempo, ci seguono da sole.
Ci sono molte persone che poco si curano di fare del male a qualcuno, se sono convinte di dire la verità. Si sentono giustificate e non badano se l'altro piange o ride. Vi è comunque una differenza tra la verità e il fatto puro e semplice.
Il fatto è ciò di cui si può parlare - la verità ciò che non può essere tradotto in parole. La pretesa di " dire la verità " cade da sola, quando ci si rende conto della differenza che ce tra fatto e verità. La gente discute di dogmi, di credenze, di principi morali, in base alle proprie nozioni. Ma arriva un momento, nella vita di un uomo, in cui tocca la verità, ma non sa trovare le parole adatte a esprimerla e tutte le discussioni, le dispute e le argomentazioni crollano. In quel momento egli dice: " Non importa chi ha sbagliato, tu o io. Ora desidero soltanto correggere il torto ". Giunge anche il tempo, in cui le continue domande che uno fa a se stesso, su questo e su quello, si esauriscono, poiché la risposta sorge dall'anima ed è ricevuta in silenzio.

La tendenza generale dell'uomo è quella di ascoltare tutto ciò che giunge da fuori - e non è solo l'orecchio ad essere aperto al mondo esterno, all'orecchio è attaccato il cuore. Il cuore che ascolta le voci provenienti dal mondo esterno dovrebbe voltargli le spalle e attendere pazientemente fino a quando non riuscirà a udire le voci che giungono dall'interno.

Vi è una voce udibile e una voce non udibile, di coloro che vivono e di coloro che non vivono, di tutta la vita. Ciò che l'uomo riesce a esprimere in parole, dice poco. Si può forse parlare di gratitudine, di evoluzione, di ammirazione? Giammai, perché le parole saranno sempre inadeguate. Ogni sentimento profondo ha una voce propria: non può venir espresso con parole esterne. Questa voce arriva da ogni anima - ogni anima può essere udita solo dal cuore. E come si prepara il cuore? Col silenzio.

Non deve sorprenderci che alcune persone hanno cercato la foresta e la montagna, che hanno preferito le regioni impervie agli agi della vita mondana. Esse hanno cercato qualcosa di prezioso. Inoltre, esse hanno trasmesso in parte l'esperienza raggiunta col loro sacrificio. Ma non è necessario seguirli nella foresta o nelle grotte di montagna. L'arte del silenzio si può imparare ovunque: in tutta la vita, per quanto impegnati, si può mantenere il silenzio.

Il silenzio è qualcosa che - consciamente o inconsciamente cerchiamo in ogni momento della vita. Cerchiamo il silenzio e lo fuggiamo, nello stesso tempo. Dove si ascolta la parola di Dio? Nel silenzio. I veggenti, i santi, i saggi, i profeti, i maestri hanno udito la voce che viene dall'interno, avendo reso se stessi silenziosi. Con ciò non voglio dire che si potrà udire la voce; perché si è silenziosi. Intendo dire che, una volta che si è raggiunto il silenzio, ci sarà la possibilità di udire la parola che giunge costantemente dall'interno. Quando la mente è stata acquietata, si può comunicare con chiunque si incontri. Non c'è bisogno di molte parole; quando gli sguardi s'incontrano, ci si capisce. Due persone possono parlare e discutere per tutta la vita e non capirsi; altre due, se hanno acquietata la mente, si guardano e in un momento tra loro il contatto è stabilito.

Da dove provengono le differenze che ci sono tra le persone? Dall'interno. Dalla loro attività. E da dove l'armonia? Dalla quiete della mente. È il rumore, che ostacola la voce, che udiamo distante - è l'acqua agitata della sorgente, che ci impedisce di vedere la nostra immagine riflessa nell'acqua.
Quando l'acqua è quieta, il riflesso è chiaro; quando la nostra atmosfera è quieta, udiamo la voce che giunge costantemente al cuore di ogni persona.
Cerchiamo consiglio, cerchiamo la verità, cerchiamo il mistero. Il mistero è dentro di noi, i consigli, la guida è nella nostra anima.

Spesso s'incontra una persona, il cui contatto rende inquieti, nervosi. La ragione è che questa persona non è riposante, non è tranquilla - e non è facile rimanere calmi e conservare la propria tranquillità in presenza di chi è agitato o inquieto. L'insegnamento di Cristo: " Non resistere al male ", significa: " Non reagire alle condizioni turbate di una persona agitata ". Sarebbe come afferrare un fuoco, che ci brucerà.
La via per sviluppare - in noi stessi - il potere di resistere a tutte le influenze perturbatrici che incontriamo nella vita di ogni giorno, è di acquietarsi, per mezzo della concentrazione.
La nostra mente è come una barca mossa dalle onde e influenzata dal vento. Le onde sono le nostre stesse emozioni e le nostre passioni, i pensieri e le immagini; il vento è l'influenza esterna, a cui dobbiamo far fronte. Per poter arrestare la barca, bisognerebbe avere un'ancora. Fermiamoci un momento a considerare quest'ancora: se è troppo pesante, fermerà la barca; se è leggera, la barca continuerà a muoversi, non si arrestera, perché in parte è nell'acqua e in parte nell'aria.
In questo modo, tuttavia ci limitiamo a controllare la barca: utilizzarla è ben altra cosa. La barca non è fatta per rimanere immobile; è fatta per uno scopo. Sembra che non tutti se ne rendano conto, ma la barca è fatta per andare da un porto all'altro. Perché la barca possa navigare ci vogliono varie condizioni: per esempio, che non sia sovraccarica. Cosi il nostro cuore non va caricato troppo pesantemente, con le cose I cui ci atracchiamo; altrimenti la barca non galleggerà. La barca non deve restare sempre nello stesso porto, deve arrivare al porto a cui era destinata.

Inoltre, la barca deve reagire al vento, che la porterà nel porto cui era diretta: questa è la sensazione che l'anima riceve dal lato spirituale della vita. Questa sensazione, questo vento, ci aiuta a proseguire verso il porto, al quale tutti siamo destinati. Una volta concentrata, la mente dovrebbe agire come la bussola - che indica sempre la stessa direzione. Un uomo i cui interessi vanno in mille direzioni diverse, non è maturo per viaggiare in questa barca. E' l'uomo che ha una cosa sola in mente e che considera tutte le altre cose secondarie, che può andare da questo porto verso l'altro. Questo è il cammino chiamato misticismo.

tratto da "La Purificazione della Mente" di Hazrat Inayat Khan

Bellezza - Hazrat Inayat Khan



“Ogni anima è alla ricerca di bellezza e ogni virtù, giustizia, buon’azione non è nient’altro che un barlume di bellezza"


Hazrat Inayat Khan



La bellezza che il sapiente apprezza e un amante ammira, è venerata dal mistico. E’ inutile cercare di mettere in parole ciò che è la bellezza, ma se qualcosa può spiegarla, è l’altra parola per bellezza e quella è armonia. E’ l’armoniosa combinazione di colori, la combinazione di linee che si dispongono armoniosamente. E’ l’armonioso intonarsi degli oggetti della natura che ci suggerisce l’idea della bellezza. Per essere bello un oggetto deve essere armonioso, perché in realtà, l’armonia è bellezza. Se c’è qualcosa nel mondo che rende l’uomo inconsapevole di se stesso, in altre parole che gli fa perdere la sua autocoscienza, se c’è qualunque cosa che rende l’uomo umile, che lo fa arrendere volontariamente, è la bellezza. La bellezza è qualcosa che conquista senza una spada, che trattiene senza mani, che è più tenera dei petali di un fiore e più forte di qualsiasi cosa nel mondo. Il Profeta ha detto: “Dio è Bellezza ed Egli ama ciò che è bello”.

La bellezza può essere divisa in tre aspetti. Il primo è la bellezza del mondo oggettivo, degli oggetti. Questo aspetto della bellezza si vede nella natura. Ciò che attrae l’uomo inconsciamente verso la bellezza della natura è l’armonia, che essa esprime. Il mare, le montagne, i fiumi, ed il cielo blu, il sole che sorge e il sole che tramonta, la luna crescente e piena, tutti sembrano armonizzarsi insieme così da produrre una visione divina, che incomincia a parlare all’anima. Ecco perché la bellezza della natura eleva. Per i mistici, i profeti, e i saggi questa fu un mezzo per elevarsi a quel diapason in cui loro potevano percepire Dio. Allora non ci fu più una domanda della loro fede in Dio perché loro percepivano Dio nella bellezza della natura.

L’altro aspetto è la bellezza oggettiva che è arte, la creazione dell’uomo. Questa bellezza attrae una persona perché è una produzione, un’imitazione che l’anima ammira. Molto spesso quei dettagli che non si possono vedere chiaramente nella natura sono visibili nell’arte. Così l’arte è qualche volta la finitura della bellezza che è espressa nella natura. Un’immagine dipinta da un artista può essere più bella, o la ragione perché l’artista ha finito ciò che la natura aveva lasciato incompleto. Ma chi sta lavorando dentro l’artista? Il Creatore Stesso, ciò che il Creatore ha lasciato incompleto, Egli lo ha finito tramite l’artista. Perciò anche le creazioni dell’arte elevano. E’ molto ispirante quando una persona ascolta il canto degli uccelli, tuttavia una canzone cantata o composta da un essere umano può elevare perfino di più, perché l’uomo ha completato quella bellezza, era la sua missione completarla. E’ per questo che il mondo fu creato, perché l’uomo potesse finire a modo suo quello che non era ancora finito nella natura, così come per rendere completa la bellezza.

Il secondo aspetto delle bellezza è la bellezza personale, la bellezza dell’essere vivente, sia nella forma sia nei lineamenti, o nel pensiero e nell’immaginazione, nel merito e nelle qualificazioni, o nella virtù e nelle più alte qualità. Che cos’è la bontà? Bellezza. Che cos’è giusto o sbagliato? Quello che è bello è giusto, quello che manca di bellezza è sbagliato. Non c’è allora nessuna cosa come quella che la gente religiosa chiama peccato o virtù? Quello che è bello è virtù, e quello che manca di bellezza è un peccato. Questi due poli non sono opposti? Ci sono quando li guardi come poli opposti. Quando guardiamo ai due estremi di una linea vediamo che ci sono due estremi, ma quando guardiamo al centro della linea, vediamo che è una linea. Questi due poli opposti ci appaiono come due soltanto quando guardiamo ai due estremi. Quando il tappeto sul pavimento non è disteso, come dovrebbe essere, allora affermiamo che è sbagliato, ma non c’è alcun modo in riguardo a come dovrebbe essere disteso, è soltanto un senso che abbiamo per riconoscere la bellezza. Questo senso è disturbato dal vedere che il tappeto non è disteso diritto, e così ciò che è sbagliato è la mancanza di bellezza.

Il terzo aspetto della bellezza è la bellezza di Dio, che significa bellezza nella sua perfezione. Per vedere questa bellezza si deve sviluppare spiritualità, così che questa bellezza possa manifestarsi alla propria vista. Tutto ciò che sembra buono e bello lo si può immaginare nella perfezione fino al punto in cui l’immaginazione di una persona può arrivare, chiamando ciò la bellezza di Dio. Dato che la bellezza è soltanto manifesta alla nostra vista nella sua limitazione, è solo in Dio che vediamo la bellezza nella sua perfezione. Non c’è alcun oggetto che possiamo vedere che sia perfettamente bello, non ce n'è nessuno eccetto che nel nostro ideale cui possiamo attribuire tutta la bellezza. Possiamo rendere qualcosa il più bello possibile ma in realtà tutta la bellezza appartiene all’Uno ed Unico, e questo è Dio.

Ci sono due modi di scoprire la bellezza. Un modo è cercarla nella distribuzione di tutte le cose e di tutti gli esseri. Ciò di cui manca una persona un’altra ce l’ha, ciò che manca ad un albero l’altro albero ce l’ha, ciò che manca al fiume il mare ce l’ha, ciò che manca nel deserto lo si può trovare nella foresta, ciò che manca sulla terra lo si può trovare nel cielo. Perciò, quando prendiamo la bellezza come un intero, cominciamo ad avere un barlume di quello che è. La bellezza non è mai assente ma quando ne prendiamo una parte e guardiamo soltanto ad essa, noi vedremo certamente qualche mancanza di bellezza. Coloro che vedono la bellezza e la separano in divisioni, in sezioni, diventano critici. Sono alla ricerca della bellezza, ma non la trovano, ne trovano poca in una persona e una mancanza in un’altra. Perfino quando trovano una piccola bellezza in una persona, trovano anche qualcosa che manca. Quando compariamo questo con tutta la perfezione della bellezza, allora la mancanza di bellezza a noi si manifesta molto di più che la bellezza stessa. Naturalmente, per questa ragione, l’uomo diventa critico e questa tendenza lo rende cieco a se stesso.

L’altro modo di vedere la bellezza divina è chiudere i propri occhi per un momento all’aspetto denso della bellezza per vedere la bellezza interiore. Per esempio colui che si eleva al di sopra della bellezza della forma incomincia a vedere la bellezza del pensiero, colui che si eleva al di sopra della bellezza del pensiero inizia a sentire la bellezza del sentimento, che è ancora più grande; e colui che si eleva perfino al di sopra del sentimento e vede l’aspetto spirituale della bellezza vede la bellezza che è ancora più grande. Non c’è fine alla realizzazione della bellezza interiore. La bellezza interiore è molto più grande quando comparata con la bellezza esteriore, tuttavia non distoglie una persona dalla bellezza esteriore. Gliela fa soltanto apprezzare di più di quanto facciano gli altri.

Una volta un pensatore asceta fu invitato a partecipare ad un varietà a New York, dove c’erano tutti i tipi di danze, spettacoli e divertimenti vari, colui che lo portò là era entusiasta di scoprire quale fosse la sua opinione di ciò e gli disse. “A lei, una persona contemplativa, venire a vedere questo non-senso che viene rappresentato sul palcoscenico, deve disgustare”. Egli replicò: “No, mai. Come può questo essere disgustoso? Non è il mio Krishna che sta recitando là ?“ Sono coloro che hanno toccato la bellezza interiore in tutte le forme che sono in grado di apprezzare la bellezza in ogni forma. Non soltanto l’apprezzano, l’ammirano, e la venerano. Se la venerazione viene rivolta a qualunque cosa o a qualunque essere, è al Dio che è nascosto nella forma di bellezza.

I poemi dei Sufi di Persia e di altre nazioni: come Hafiz e Jami, Rumi e Faird-ud-Din Attar, non sono soltanto dichiarazioni filosofiche, ma sono scritti dall’inizio alla fine in ammirazione della bellezza. Se qualcuno si tuffasse in profondità in ogni loro verso, troverebbe che ciascuno è uguale a centinaia di libri pieni di filosofia. Perché? Perché le loro anime sono state mosse alla danza alla vista della bellezza. Quello che hanno espresso nelle loro parole è vivo, fiorisce, è pieno di bellezza. Questo penetra colui che può percepirlo, che può ammirarlo. La loro poesia è la loro preghiera. Potrebbe sembrare che sia un canto alla bellezza, ma a chi è cantato? La loro canzone è per Dio!

SUFISMO - La Religione del cuore - Hazrat Inayat Khan



Se qualcuno vi chiedesse: “Che cosa è il Sufismo? Di quale religione fa parte?” potreste rispondere: “Il Sufismo è la religione del cuore, la religione nella quale una cosa ha la massima importanza: cercare Dio nel cuore dell’umanità.”Ci sono tre modi per cercare Dio nel cuore umano. Il primo modo è di riconoscere la divinità in ogni persona ed essere prudenti, nel nostro pensiero, nelle nostre parole e nelle nostre azioni, con ogni persona con cui si viene in contatto. La personalità umana è molto delicata. Più il cuore è vivo, e più è sensibile. Ma ciò che causa la sensibilità è l’elemento d’amore nel cuore, e amore è Dio. La persona il cui cuore non è sensibile, è priva di sentimenti; il suo cuore non è vivo: è morto. In tal caso lo Spirito Divino è sepolto nel suo cuore. Una persona che è sempre interessata ai propri sentimenti, è talmente assorbita in se stessa che non trova il tempo di pensare ad un altro. Tutta la sua attenzione è presa dai propri sentimenti. Ha pietà di se stessa: si preoccupa del proprio dolore, e non è mai aperta ad avere simpatia per gli altri. Colui che fa attenzione al sentimento di un’altra persona con cui viene in contatto, pratica la prima essenziale regola morale del Sufismo.Il modo successivo di praticare questa religione è di pensare al sentimento della persona che non è dinanzi a noi in quel momento. Si provano sentimenti per una persona che è presente, ma spesso si trascura di provare dei sentimenti per qualcuno che non è davanti a noi. Si parla bene di qualcuno in sua presenza, ma se ne parla bene quando è assente, allora ciò è ancora più grande. Si condivide la pena di colui che ci è dinanzi, ma condividerla con colui che è lontano è più grande. Il terzo modo di realizzare il principio Sufi è riconoscere nei propri sentimenti il sentimento di Dio; realizzare ogni impulso d’amore che si solleva nel nostro cuore come una direttiva di Dio; comprendendo che l’amore è una scintilla divina nel proprio cuore, soffiare su questa scintilla affinché una fiamma possa sorgere per illuminare il sentiero della propria vita. Il simbolo del Movimento Sufi, che è un cuore con delle ali, simboleggia questo ideale. Il cuore è sia terreno che celeste. Sulla terra il cuore è un ricettacolo per lo Spirito Divino, e se mantiene lo Spirito Divino, si eleva verso il cielo; le ali significano l’elevarsi. La luna crescente nel cuore simboleggia rispondenza. E’ il cuore che risponde allo Spirito di Dio, che sorge. La luna crescente è un simbolo di rispondenza perché la rispondenza aumenta man mano che la luna cresce rispondendo sempre più al sole. La luce che si vede nella luna crescente è la luce del sole. Come la luna riceve più luce quando la rispondenza cresce, così essa diventa più piena con la luce del sole. La stella nel cuore della luna crescente rappresenta la scintilla divina che viene riflessa nel cuore umano come amore, che aiuta la luna crescente verso la pienezza.Il Messaggio Sufi è il messaggio di oggi. Non porta teorie e dottrine da aggiungere a quelle che esistono già, e che confondono la mente umana.Ciò di cui il mondo ha bisogno al giorno d’oggi è il messaggio d’amore, d’armonia e di bellezza, la cui assenza è la sola tragedia della vita. Il Messaggio Sufi non dà una legge nuova; risveglia nell’umanità lo spirito di fratellanza, con la tolleranza da parte di tutti per la religione degli altri, con il perdono di tutti per gli errori degli altri. Insegna riguardo e considerazione, per creare e mantenere armonia nella vita; insegna servizio e disponibilità, che da soli rendono la vita nel mondo fertile: in tutto ciò si trova la soddisfazione di ogni anima.


Il mio cuore è stato spezzato e poi ricomposto

Il mio cuore è stato ferito e poi risanato.

Il mio cuore ha patito mille morti, ma, grazie all’amore, ancora vive.



(Hazrat Inayat Khan da “Gli ideali religiosi")

Comprendere il dolore - Krishnamurti



Io non so se vi siate mai chiesti seriamente se il dolore possa avere mai fine. L’uomo soffre – non soltanto fisicamente, ma psicologicamente, dentro di sé – da tempo immemorabile. Ha seguito uno schema di dolore senza fine, il modello del vivere e quello del morire, che entrambi por­tano una profonda sofferenza. Non è stato capace, nel corso dei secoli, di risolvere questo problema.
Gli sarà mai possibile – immerso com’è nella corruzione, in una socie­tà che si sta disgregando – vivere una vita felice e intelligente, cioè ricca di sensibilità, di grande gioia interiore, una gioia che non viene mai sfiorata dal dolore? Nel momento in cui ci si pone realmente questa domanda mi chiedo quali sarebbero le risposte possibili. Qualcuno po­trebbe dire che non è possibile, che è meglio lasciar perdere; qualcun altro che è necessario vivere in questo mondo di brutture: con il dolore, la vecchiaia e la morte, con la gioia fortuita, priva di qualsiasi ragion d’essere, oppure che siamo prigionieri in un circolo vizioso che non ha vie di uscita.
Ma se non si mette fine al dolore non vedo in che modo si possa mai raggiungere l’illuminazione, come si possa mai pervenire alla saggezza. La saggezza non è qualcosa che si possa comperare in un negozio, o qualcosa che si possa accumulare; non nasce dalla tradizione e non viene dall’esperienza. La saggezza nasce soltanto quando finisce il dolore; la fine del dolore è la saggezza. Ma noi non sappiamo come fare a porre fine al dolore; non ci siamo mai dedicati con il cuore e con la mente a cercare di scoprire se sia mai possibile per l’uomo mettere fine al dolore, vivere una vita diversa, una vita che non produca questa straziante infe­licità, questa confusione e questa paura. Noi siamo diventati molto acuti nell’indagine analitica, molto cervellotici, molto bravi a dare spiegazioni: siamo come chi non fa altro che arare e non semina mai, mai. Questa intelligenza ci ha reso uomini estremamente terreni; la dimensione terre­na è il coltivare in maniera frammentaria la mente, una mente diventata così straordinariamente acuta, così perspicace che non dice mai «non so». La dimensione terrena è questa mancanza di umiltà. L’umiltà non è una cosa che si possa coltivare come si coltiva un albero, un giardino o un frammento della mente. L’umiltà non appartiene al tempo; per questa ragione non potrete dire: «sarò umile; col tempo raggiungerò quello stato semplice e straordinario della mente che è sempre un fluire di apprendimento, di visione, di ascolto».
La saggezza nasce con l’umiltà. C’è umiltà quando conoscete voi stessi per quello che realmente siete; ma quando coltivate una teoria basata sul sé superiore, sul sé inferiore, sull’atman e tutte le altre invenzioni della fantasia; questo è vanità. Solo una mente libera dallo stato di dolore può amare e conoscere la bellezza dell’amore; può vedere tutto in maniera globale con un solo sguardo: tutta la bellezza della terra e del cielo, le stelle della sera e gli stormi di uccelli che si alzano in volo la mattina; può vedere tutto con un solo sguardo e conoscere la qualità della bellez­za, che è l’amore.
Per porsi la domanda: «Può una mente che è vissuta per diecimila anni, trovarsi in uno stato dove il dolore non la tocca mai?» è necessaria l’umiltà. Per porsi questa domanda e per trovare la qualità di completa innocenza della mente noi dobbiamo capire per intero la struttura e la natura dell’esperienza. L’uomo ha fatto e fa ogni giorno, ogni minuto, migliaia e migliaia di esperienze; non può evitare l’esperienza, l’esperien­za è lì che gli piaccia o no; condiziona la sua mente, che ne sia consape­vole o no. Può questa mente – che è il risultato del tempo, della tradi­zione, il risultato dell’indicibile infelicità dell’uomo – liberarsi dell’espe­rienza? Purtroppo noi pensiamo che l’esperienza sia necessaria, pensiamo di dover fare migliaia di esperienze di ogni tipo per arricchire la mente, per farla diventare estremamente flessibile e chiara, proprio perché ne ha passate tante, ha letto tanto, ha vissuto tanto. Noi pensiamo che l’espe­rienza, grande o piccola che sia, faccia parte essenziale della vita. Andia­mo sempre in cerca di più esperienza – l’esperienza del sesso, di Dio, della virtù, della famiglia, del viaggiare – e sopportiamo a fatica quella quotidiana di monotonia e di solitudine che facciamo quando stiamo per conto nostro. Abbiamo accettato questo modo di vivere.
Con l’esperienza nasce il confronto. Non so se siate mai vissuti senza fare confronti, senza misurarvi con qualcuno più intelligente, più brillan­te di voi; con qualcuno che abbia una posizione superiore alla vostra, che abbia più potere e prestigio; senza confrontarvi con qualcuno che abbia un viso più bello, un sorriso più luminoso, uno sguardo più intelligente del vostro. Dentro di noi non finiamo mai di fare confronti; questo è meglio, questo è di più; il confronto con quel che è stato e quel che dovrebbe essere, gli apprezzamenti continui, a non finire, come quando leggete un annuncio pubblicitario: «Comprate questo, vi renderà più intelligenti»; «Usate quello, vi darà qualcos’altro». Quando c’è il confron­to voi dovete inevitabilmente incoraggiare l’esperienza. Noi pensiamo che se non facciamo paragoni, se non esprimiamo giudizi, siamo ottusi, stu­pidi e che ostacoliamo il progresso. Confrontiamo un quadro con un altro, uno scrittore con un altro, una fortuna con un’altra; pensiamo di raggiungere una certa comprensione dell’esistenza umana attraverso lo studio comparato delle religioni e l’indagine antropologica. È proprio vero che sareste ottusi se non faceste confronti? Oppure l’ottusità la conosciamo soltanto per via del confronto: perché un altro è sensibile, ha lo sguardo vivace, vive senza confusione? È forse confrontandovi con quella persona che diventate consapevoli del fatto che il vostro sguardo è ottuso, che la qualità della vostra mente è confusa? Quel confronto vi aiuta veramente a capire? Da un punto di vista tecnologico il confronto deve esistere, altrimenti non esisterebbe sapere scientifico; ma a parte questo, perché fate confronti? E se non li faceste, che cosa succederebbe?
Mentre ascoltate, lasciate che la mente osservi se stessa; vedrete che è sempre prigioniera dei confronti e dei giudizi. Questo crea insoddisfazione, ed essendo insoddisfatti voi volete qualcosa di più. Volete trovare appagamento e quindi date spazio all’esperienza, all’infinito.
Che cos’è l’esperienza? Dovete capire di che cosa si tratta prima che procediamo oltre e affrontiamo un argomento che richiede una grande comprensione; parleremo di una mente che è totalmente innocente, perché soltanto la mente innocente, la mente molto, molto semplice può vedere quel che è vero e può vedere con chiarezza. Una mente infarcita di esperienza è una mente complicata; ogni esperienza vi ha lasciato un’impronta e per quanto facciate, quella mente non conoscerà mai la felicità dell’innocenza.
Dobbiamo indagare sulla natura dell’esperienza; indagare è come attraversare, anche se la mente non attraversa mai un’esperienza, non la attraversa mai e non finisce mai di fare esperienza. Ogni esperienza lascia un segno, e poiché ci sono anche altri segni, altre impronte di esperienze precedenti, così ogni nuova esperienza viene tradotta dall’esperienza precedente, dalla precedente impronta, dal precedente ricordo. Osservatelo dentro di voi. Si scopre che l’esperienza non può mai liberare la mente, mai; vediamo che se riconosciamo un’esperienza è soltanto perché l’ab­biamo già sperimentata, altrimenti non la riconosceremmo.
L’esperienza lascia un’impronta, questo è un fatto ovvio. Mi avete insultato e la mia reazione a quell’insulto ha lasciato un ricordo; la pros­sima volta che vi incontrerò, porterò con me questo ricordo; e l’incontro con voi, che una volta mi avete insultato, rinforza quel ricordo. Oppure, se mi avete fatto un complimento, se mi avete detto: «Che persona me­ravigliosa siete!», anche quell’adulazione lascia un’impronta, un ricordo, e la prossima volta che vi incontrerò vi sarà un rinforzo del ricordo; diventiamo amici. L’esperienza ha lasciato impronte piacevoli e spiacevoli. Ora, può l’esperienza essere vissuta, essere attraversata in modo tale che quando voi mi insultate io riceva quell’insulto in maniera così com­pleta che esso non lasci traccia, non lasci la minima traccia sulla mia mente, che non lasci alcun ricordo; e che, allo stesso modo, quando voi mi fate un complimento, neanche quel complimento lasci traccia? (Questo significa che la mente non accumula più esperienza). Vi prego, compren­dete l’essenza di questo fatto. La mente, quando riceve un insulto o un apprezzamento è così chiara, così acuta che lo accoglie totalmente perché ha rifiutato l’esperienza. Ve ne prego, fatelo la prossima volta, non cercate semplicemente di farlo, non fate del vostro meglio, ma fatelo realmente perché capite con chiarezza che l’esperienza non libera mai la mente.
Le persone religiose vogliono fare esperienza. Ripetono certe parole attraverso cui si produce un fenomeno isterico che fornirà un’esperienza di qualcosa oltre; e molte giovani generazioni assumono droghe per poter fare una sorta di esperienza trascendente. È sempre lo stesso problema: l’uomo – che ha vissuto una vita così completamente priva di senso, così disperatamente povera da un punto di vista interiore, così monotona, così incanalata in una routine fatta di imitazione – naturalmente vuole qualcosa che gli dia più gioia, che gli dia una visione più elevata, un più alto significato; e così, va sempre in cerca di esperienza; è quel che fate anche voi. Voi volete una prova, volete cercarla, trovarla. Vale a dire che volete farne esperienza. Ma quando capite veramente la natura dell’espe­rienza, quando vedete in che modo si costruisce, quando ne vedete la verità, e vedendone la verità non fate più confronti, allora non seguite più nessuno, allora non esiste più autorità; allora vedrete che nessuno vi condurrà a vette più alte di esperienza.
Quando capirete che ogni giudizio favorisce l’esperienza e che il desiderio di fare più esperienza alimenta le persone che si arrogano l’autorità: i preti, i monaci, quelli che ne sanno di più; quando capirete questo, allora potrete approfondire la questione del dolore e del perché l’uomo soffre non soltanto fisicamente, per gravi malattie, ma anche quando qualcuno muore; del perché soffre quando non riesce a conseguire le mete che si prefigge, quando non si realizza; del perché si sente improv­visamente solo quando non trova sostegno e quando non ha nessuno su cui fare affidamento, quando è lasciato completamente solo; del perché soffre in assoluto. Come ho detto, per comprendere questo deve esserci l’umiltà. Ma voi non siete umili, voi avete letto troppo, cercando di scoprire perché il dolore nasce e in che modo è possibile porvi fine. Così, cercando di eliminare il dolore, siete diventati esseri molto terreni; avete imparato a evitarlo, il dolore, a evitarlo in maniera molto astuta.
Per capire il dolore e la fine del dolore voi dovete capire la paura; non capire intellettualmente o a parole, ma capire venendo alle prese con la paura nella realtà, in modo da trovarvi a faccia a faccia con la cosa in sé. Quando vi trovate di fronte al fatto, il pensiero non entra in azione; quando vi trovate di fronte a un grande shock, a una grande crisi, il pensiero non entra in gioco. Io non so se lo avete mai notato. Nel momento stesso in cui il pensiero entra in azione, il tempo inizia a scorrere. (Devo spiegarvi tutto questo, spiegarvi in che modo il pensiero alimenta il tempo, in che modo il tempo è dolore, in che modo il tempo è paura? Ve lo devo spiegare? Sì? Questo è troppo! Perché voi sapete che cosa significa: una mente che è vissuta di parole e di spiegazioni, una mente resa ottusa e quindi incapace di vedere velocemente, immediatamente la verità di qualcosa; ma voi pensate di capire se la verità vi viene spiegata. Spiegazioni e definizioni servono solo a rendere la mente più ottusa. Vi darò una breve spiegazione, ma la spiegazione non è il fatto. Non vi aggrappate alla spiegazione. Sputatela come qualcosa che non sa di buono).
Il pensiero è tempo, il pensiero è paura. Voi dovete capirlo non a parole ma nella realtà, perché quando vi trovate ad affrontare quell’im­mensa questione che è la morte, per comprenderla, viverla, vederne tutta la bellezza, dovete capire il pensiero come tempo, dovete capire il pensiero come paura. Ieri abbiamo fatto una felice esperienza e il pensiero dice: «Spero di ripetere questa esperienza domani». Guardate quel che è successo: ieri avete fatto un’esperienza piacevole e volete ripeterla doma­ni; il pensiero trattiene quell’esperienza come ricordo e vuole che quell’esperienza si ripeta il giorno successivo. Questo è quel che voi fate riguardo al sesso: l’esperienza di ieri volete che si ripeta domani. Il pensiero ha creato l’ieri e il domani. Ma il domani è incerto; il domani può essere qualcosa di completamente diverso. Tutto quel che il pensiero conosce in realtà è ieri. Il pensiero appartiene dunque all’ieri, il pensiero è vecchio, non è mai nuovo.
Il pensiero – che è esperienza, conoscenza, il coacervo di ricordi immagazzinati da cui il pensare nasce come reazione – crea il tempo in termini di ieri. Ieri ero molto felice, ieri sono stato molto felice, ho contemplato quel meraviglioso tramonto, il sole splendente che si gettava in un mare meraviglioso, e quella nuvola passeggera, di colore rosa inten­so, grande e bella: erano li e adesso sono un ricordo; domani ritornerò sul luogo, ma il sole tramonterà magari senza colori e senza tutta quella bellezza. È molto semplice. Allora, è il pensiero a creare la paura della morte? Domani, in futuro, ci sarà una fine: avete visto così spesso la morte per le strade! Voi conoscete la morte, eccola lì, che cammina tutti i giorni al vostro fianco. E il pensiero la pensa come qualcosa che appar­tiene al futuro, come un tempo a venire; così si crea l’intervallo, il tempo, fra il vivere e il morire. Quell’intervallo, quel tempo, è paura; quel tem­po, quell’intervallo, è creato dal pensiero.
Noi conosciamo la vita e conosciamo la morte. Conosciamo la vita che conduciamo – una vita di conflitti, di confronti, di infelicità, di cuore dolorante, senza amore né bellezza – e poi c’è quella cosa chiamata morte, la fine improvvisa. L’uomo ha inventato varie teorie per spiegare quel che accade dopo la morte. Tutta l’Asia crede nella reincarnazione; ma è semplicemente una speranza, perché se quella credenza facesse veramente parte della vostra vita, oggi voi vivreste rettamente, le vostre azioni e i vostri pensieri sarebbero virtuosi, sareste gentili, generosi, affet­tuosi, perché se non lo foste, nella vita successiva ne paghereste le con­seguenze: questo è quanto insegna la reincarnazione. Ma voi non ci credete, è soltanto un’idea, una speranza: una speranza per l’uomo che ha paura. Dovete dunque riesaminare tutta la questione, riesaminare le vo­stre credenze. Le credenze non hanno mai alcun valore.
L’uomo che ha una fede è un uomo che ha paura. La vita che conduciamo – il vuoto, l’infelicità, il dolore, il conflitto senza fine – è un campo di battaglia; questo è tutto quel che sappiamo. Il campo di battaglia e la paura che quel campo di battaglia che noi chiamiamo morte finisca, è tutto quel che sappiamo. Così, dobbiamo indagare, analizzare, ripensare, guardare con occhi nuovi, in modo che da ciò possa nascere una mente nuova.
Il dolore può finire? Questo significa: la paura può finire? Quando voi piangete la morte di qualcuno state piangendo per voi stessi o per l’altro? Avete mai pianto per un altro? Ascoltate, ve ne prego. Avete mai pianto per un altro? Pianto per quella povera donna o per quel pover’uomo per la strada, con un solo vestito, e per giunta così sudicio; avete mai pianto per loro? Avete mai pianto per vostro figlio che è stato ucciso in guerra? Voi avete pianto, ma era un pianto di autocompassione o avete pianto perché un essere umano è stato ucciso? Se piangete per autocompassione, le vostre lacrime non hanno alcun senso, perché vi preoccupate soltanto di voi stessi; e il voi stessi è un coacervo di ricordi, di esperienze, la tradizione passata; voi state piangendo perché siete stati privati di una persona su cui avete investito gran parte del vostro affetto; ma non era vero affetto. Piangete per vostro fratello che muore, piangete per lui, non per voi stessi. È molto facile piangere per voi stessi perché lui se ne è andato. Vi siete mai chiesti che cosa gli è successo, perché è morto? Conosco tutte le risposte che mi darete. Mi direte che è morto di malat­tia, di incidente; che era il suo karma, il suo destino, che non è vissuto in maniera corretta: spiegazioni, spiegazioni, spiegazioni. State piangendo per le spiegazioni o state piangendo per un altro essere umano? Vi siete mai preoccupati di un altro? Ve ne prego, dovete rispondere a queste domande da soli, perché siete diventati esseri così terreni, così supremamente insensibili. Se aveste pianto per un altro, allora fareste qualcosa. Ma se piangete per voi stessi, per autocompassione, allora diventerete ancora più insensibili. In apparenza voi piangete perché il vostro cuore è commosso, ma il vostro cuore è commosso solo dall’autocommiserazione. L’autocommiserazione vi rende duri, vi chiude, vi rende ottusi, stupidi; questo è quel che gli esseri umani sono diventati, perché hanno versato lacrime su di sé, sul proprio destino; e il loro destino è sempre angusto rispetto a qualche altra cosa.
La fine del dolore è l’inizio della saggezza; la saggezza viene in maniera naturale, facile, con la conoscenza di sé; nasce quando voi sapete che state semplicemente piangendo per voi stessi, piangendo per autocommi­serazione, perché siete soli, perché siete stati lasciati. Sempre voi in lacrime; se voi comprendete questo, se lo comprendete veramente, cioè entrate direttamente in contatto con questa realtà – così come tocchereste un albero, come tocchereste quel pilastro, o una mano – allora vedrete che il dolore è centrato su voi stessi; vedrete che quel dolore è creato dal pensiero, e che è il risultato del tempo. Ho perso mio figlio anni fa; è morto. Ora sono solo, non c’è nessuno a cui possa ricorrere per avere conforto, per avere compagnia; mi viene da piangere, ma è per autocommi­serazione; in realtà, non mi preoccupo affatto per mio figlio. Se lo fossi stato avrei sorvegliato che vivesse rettamente, che mangiasse il cibo giu­sto, che avesse il giusto esercizio, la giusta educazione, perché fosse capace di reggersi da solo, perché fosse un uomo libero. Ma non me ne sono dato pena. Voi non piangete per un altro; voi piangete per il vostro angusto, misero, piccolo sé, che è diventato così straordinariamente intel­ligente nella sua meschinità. Tutto questo potete vederlo accadere dentro di voi – e potete vederlo, se guardate – potete vederlo pienamente, com­pletamente, a colpo d’occhio. Potete vedere l’intera struttura in un atti­mo, senza dar tempo al tempo, senza analizzare; potete vedere la natura di questa piccola e meschina cosa chiamata me, le mie lacrime, la mia famiglia, la mia nazione, il mio credo, la mia religione, il mio paese; tutta questa bruttura, è tutta dentro di voi. Potete vedere quindi che siete responsabili di ogni guerra, di ogni brutalità che si sta perpetrando in questo e in altri paesi. Quando vedete tutto questo con il cuore e non con la mente, quando lo vedete realmente dal profondo del vostro cuore, allora possedete la chiave che metterà fine al dolore. Questa chiave apre la porta a una mente che non è minimamente contaminata dall’esperien­za e che quindi è innocente; e una mente innocente non è una mente resa tale dal pensiero; il pensiero non può fare niente, il pensiero è vecchio; la bellezza dell’innocenza sta nel suo essere sempre nuova e quindi sempre giovane; è soltanto questa innocenza totale che può vedere l’immensità, l’incommensurabile stato della mente, che l’uomo cerca da secoli.



giovedì 4 marzo 2010

il nulla



mi sento sola
irrequieta
triste
mi sembra di cadere
in un’altra dimensione
dentro di me
c’è il vuoto
il nulla si impadronisce di me
sto sprofondando
in un altro mondo
ovunque vado
sento freddo
tanto freddo
mi sto perdendo
in questo labirinto oscuro
che mi circonda
e non riesco a trovarne l’uscita

Il grande dono che ci è stato dato è il libero arbitrio ... S.Tamaro



Il grande dono che ci è stato dato è il libero arbitrio, cioè poter scegliere. Scegliere vuol dire semplicemente avere due strade davanti e decidere di imboccarne una anziché l'altra. Vuol dire anche saper rinunciare: non so cosa c'era nell'altra strada, né mai lo saprò perché l'ho lasciata alle spalle e non posso più tornare indietro.Ti ricordi il finale di "Va' dove ti porta il cuore"? "E quando poi davanti a te si apriranno tante strade, e non saprai quale prendere, non imboccarne una a caso ma siediti e aspetta [...] Aspetta ancora."Sedersi, aspettare. Due parole così lontane dal nostro consumo frenetico del tempo! Non parliamo poi dello stare in silenzio. Eppure sono proprio queste tre condizioni che ci aiutano a prendere la giusta direzione.L'immobilità, la pazienza e il silenzio.Perché, per scegliere, è necessario eliminare tutto il chiacchericcio circostante, i modi di pensare comuni, banali, i luoghi e i modi della convenienza. Bisogna andare al fondo di se stessi e mettersi in ascolto. Si deve essere capaci di attendere con pazienza e umiltà, perché la coscienza profonda è schiva come un animale selvatico e spesso altri richiami - voci, consigli, oracoli - cercano di sovrastarla. E ancora, fare una scelta consapevole - come hai notato con il tuo "è tremendo ricominciare tutto daccapo" - rende comunque la vita più difficile.Perché le scelte costruiscono un percorso. Un percorso che si rivela ben più aspro del semplice farsi trasportare dalla corrente."


Susanna Tamaro , da Più fuoco più vento

Libertà dalla paura - J.Krishnamurti



E conosci ciò che è? Lo comprendi? Hai aperto l’armadio del conosciuto e ci hai guardato dentro? Non sei spaventata pure da ciò che potresti scoprire lì dentro? Ti sei mai interrogata a fondo sul conosciuto, su ciò che già possiedi?
«No, non l’ho fatto. Ho sempre dato per assodato, scontato il conosciuto. Ho accettato il passato così come si accetta il sole o la pioggia. Non l’ho mai considerato; non si è quasi consapevoli di ciò, così come non lo si è della propria ombra. Ora che ne parli, suppongo di avere anche paura di scoprire cosa ci potrebbe essere lì.»
Non è forse vero che la maggior parte di noi ha paura di guardarsi dentro? Potremmo scoprire cose spiacevoli, così preferiamo non guardare, preferiamo restare ignoranti su ciò che è. Non solo abbiamo paura di ciò che potrebbe esserci nel futuro, ma abbiamo anche paura di ciò che potrebbe esserci nel presente. Abbiamo paura di conoscerci per ciò che siamo, e questo evitare ciò che è ci fa aver paura di ciò che potrebbe essere. Avviciniamo e affrontiamo il cosiddetto conosciuto con paura, e così anche l’ignoto, la morte. Ignorare ed evitare ciò che è rappresenta il desiderio verso la gratificazione. Cerchiamo sicurezza, esigendo costantemente che non ci sia alcuna interferenza, disturbo; ed è proprio questo desiderio di non essere disturbati, di stare tranquilli, che ci fa evitare ciò che è e ci fa avere paura di ciò che potrebbe essere. La paura è l’ignoranza di ciò che è, e la nostra vita trascorre in un costante stato di paura.
«Ma allora come ci si può liberare da questa paura?»
Per liberarsi da qualcosa bisogna capire prima cos’è. È paura o solo il desiderio di non vedere? È il desiderio di non vedere che porta avanti la paura; e quando non vuoi capire il pieno significato di ciò che è, la paura agisce come un deterrente. Puoi condurre una vita gratificante evitando deliberatamente tutte le domande su ciò che è, e molti lo fanno; ma non sono felici, né lo sono coloro che si trastullano con uno studio superficiale di ciò che è. Solamente i più onesti nelle loro domande possono essere consapevoli della loro felicità; e solo per loro ci sarà la libertà dalla paura.
«Ma allora, come si fa a comprendere ciò che è?»
Ciò che è va visto nello specchio della relazione, della relazione con tutte le cose. Ciò che è non può essere compreso, ritirandosi, nell’isolamento; non può essere compreso se c’è un interprete, un traduttore che nega o accetta. Il ciò che è può essere compreso solo quando la mente è altamente passiva, quando non sta operando su ciò che è.


tratto da "Il silenzio della Mente - Meditazioni sul vivere – vol 2°"

martedì 2 marzo 2010

Non dirmi addio.



Sguardo fisso rivolto al passato, perso chissà dove, a passeggiate lungo il lungomare, a giornate passate a sognare un sogno reale, e attraverso le lacrime vedo un volto rimasto a ieri, e fisso quelle montagne fonti di emozioni profonde, profonde come il mare che separano dalla mia vista.
Mi ritrovo a guardare il cielo oggi più bello che mai, nonostante tutto. Qualche nuvola sparsa qua e là corre veloce sospinta dal vento. Vorrei che anche i miei pensieri venissero spazzati via, lontano, lassù con te.
Mi ritrovo a guardare il sole con la voglia di accecarmi per non vedere più quello che sarà.
Mi ritrovo a guardare il giardino con le rose che coltivavi con tanto amore.
Ho raccolto una rosa. Era molto bella. In lei vedevo te, in lei vedevo il tuo amore, in lei sentivo la tua presenza.
Una spina mi ha punto. Anche i momenti più belli hanno fine.
Anche le persone più care se ne vanno.
E non ci rimane altro che il ricordo, amara consolazione. O le sensazioni. I profumi. Le emozioni ricevute.
Stasera vorrei averti qui accanto a me, con la tua immancabile sigaretta in bocca. E aspetto il tuo ritorno come quando alla stazione scrutavo con ansia tutte le persone che scendevano dal treno per poi correrti incontro e abbracciarti forte forte.
Non dirmi addio.
Solo arrivederci a presto.

Solitudine - Emily Dickinson



Ha una sua solitudine lo spazio,

solitudine il mare

e solitudine la morte - eppure

tutte queste son folla

in confronto a quel punto più profondo,

segretezza polare,

che è un’anima al cospetto di se stessa:

infinità finita.