domenica 28 febbraio 2010

LO SCOPO - Fazal Inayat Khan



Arriviamo ora al punto in cui scendiamo sempre di più verso un discorso specifico, meno astratto, all’uomo stesso. Disegnando la realtà come un simbolo, che funziona secondo certi principi di contraddizione, guardando le causalità e cercando di vedere che la causalità è invece la chiave all’illusione in cui funzioniamo; ora stiamo arrivando allo scopo. Se le letture precedenti ( vedi i numeri di Gemme precedenti, ndr.) sono servite a liberarci dei pesi, ad aiutarci ad avere una visione della realtà con minor attaccamento emozionale dentro noi stessi, allora la questione che deve arrivare subito dopo ad ogni mente è, va bene, ma perché io esisto? Qual è lo scopo della mia vita – della vita?


Considerando lo scopo dovremmo probabilmente cominciare a pensare ad un piccolo pesce nel mare. Al grado in cui esso ha una consapevolezza, ed ammettendo che quel grado sia minimo, il pesce nel mare sembra essere spinto da forze di auto-conservazione, di sopravvivenza; ed il pesce segue dei modelli predefiniti, un modello di nutrirsi, uno di nuotare. Il piccolo pesce potrebbe – probabilmente non lo fa, ma potrebbe – vedere la sua piccola vita come incredibilmente importante, di fatto, abbastanza importante che lotterà per la sua sopravvivenza, e osserverà cose buone e cose cattive (qualunque casa ciò significhi soggettivamente) dal punto di vista di se stesso. Se trova cibo, ciò è bene per quel piccolo sé, se è minacciato, ciò è male per quel piccolo sé. Se noi andassimo a raccontare al pesce che lui non ha uno scopo, lui non potrebbe mai accettarlo, direbbe: “No, devo nuotare, devo mangiare, devo riprodurmi, devo sperimentare ciò che sto facendo”. E tuttavia il suo scopo basilare potrebbe essere di assolvere una funzione molto piccola, incredibilmente precisa, un anello in una catena molto vasta che è oltre la sua comprensione. Nonostante ciò, per la consapevolezza individuale di questo pesce, ogni cosa che succede sta succedendo a lui. Tutte le cose importanti nell’intero universo stanno succedendo a lui. La sua intera vita è talmente incredibilmente, meravigliosamente decisa, e lui non vede mai la funzione che svolge nell’attimo d’eternità in cui appare come un piccolo pesce. Non vede se stesso come proteine, non vede se stesso come un ciclo sempre crescente di coscienza che si risveglia, che consuma ed è consumata, che espande e si espande; vede semplicemente il suo supremamente importante e perfettamente completo piccolo sé, “Io, questo piccolo pesce”. Un piccolo fastidio è perciò critico nei suoi sentimenti di dolore o di piacere, e tuttavia con tutta probabilità, qualunque cosa il piccolo pesce fa, il suo scopo è inevitabile. C’è un pesce più grande che mangia il nostro piccolo pesce e tanti altri, e c’è un pesce ancora più grande che mangia quello, e così via. Tuttavia ad ogni livello c’è il chiedersi perché, e la certezza dell’individualità dello scopo e della specificità della vita.


Un altro esempio, forse molto meno crudele – se esiste la crudeltà – e perciò forse anche meno giusto – se la giustizia esiste – è l’esempio di una scala musicale, una raga, un modo greco o una scala occidentale. Immaginatevi che state suonando una scala maggiore sul pianoforte o su un sitar. In quel momento dell’intrecciamento con la scala, sembra che stiamo realmente suonando una scala, sembra che realmente ne stiamo sperimentando un aspetto, ma il punto di vista mistico è che la scala sta suonando il musicista, che quella particolare probabilità, quel particolare insieme esistenziale sta semplicemente rilasciando un potenziale, infinitamente piccolo in una forma manifesta. Potrebbe essere che le cose siano invertite, che non compiamo uno scopo, ma che lo scopo si sta compiendo in noi, proprio come il piccolo pesce o plancton-animale non ha una funzione veramente individuale, tuttavia la funzionalità si sta realizzando. Il piccolo pesce era mangiato da un pesce più grande e quello da un pesce più grande e avanti così finché alla fine arriviamo all’uomo. Sta diventando sempre più vero ogni giorno che man mano noi ci moltiplichiamo diventiamo di più come il piccolo pesce. Leggevo recentemente che l’intera popolazione della terra durante gli ultimi duecentomila anni non era uguale al numero di persone che sono nate nel mondo ogni venti anni nell’epoca presente. Nonostante i numeri, non c’è molta differenza fra il piccolo pesce e i suoi sentimenti d’identità e d’importanza, la centralizzazione nella sua piccola coscienza, e quelli nella nostra. Anche noi non vogliamo essere senza scopo, sentiamo che stiamo veramente facendo qualcosa d’importante nelle nostre vite, ma se ci guardiamo realmente, la maggioranza di noi sta facendo ben poco che sia originale, costruttivo, che abbia uno scopo – siamo vissuti invece che noi viviamo. Non è così che possiamo arrivare al punto di realizzazione che lo scopo della nostra vita si trova, tanto quanto lo scopo del piccolo pesce, non in quello che raggiungiamo, ma in quello che sacrifichiamo, non in ciò che costruiamo, ma in ciò che cediamo, in ciò che diamo? Proprio come il piccolo pesce è incapace di concepire i vari cicli di cui fa parte, e l’intero più grande di cui lui è una parte, possiamo noi veramente dire che possiamo vedere i cicli più vasti? Possiamo vedere i cicli del pesce, alcuni di questi, ma non siamo noi, nella coscienza universale, molto più piccoli del piccolo pesce nell’oceano?


Alcune persone possono sentire che questo è eliminare l’ultimo granello di valore che un individuo possiede, e probabilmente è così; ma c’è un altro modo di guardare ciò che dà una tremenda sicurezza, certezza, salvezza, e vale a dire che qualunque cosa il piccolo pesce faccia, inevitabilmente lui compirà il suo scopo. Nello stesso modo, qualunque cosa facciamo, in qualunque modo cerchiamo di scappare, anche noi compiremo il nostro scopo. Lo scopo dell’uomo è nato con la sua nascita, persino se la sua morte segue poco dopo. Quello che possiamo fare per concepire la nostra vita, è cominciare a comprendere che ciò che vediamo può essere o un peso incredibile, il peso che tutto ciò che vediamo è tutto ciò che esiste; oppure, può essere una porta, tante porte, porte che conducono verso l’ignoto.


In genere, quando cominciamo ad avere una certa idea sul significato, sullo scopo, costruiamo subito un muro intorno a ciò, un muro senza porte. Conosciamo tutti il misticismo dell’orizzonte: l’orizzonte è il limite dell’osservazione, il limite della lunghezza d’onda della luce, il limite dell’altezza da cui osserviamo; è il limite incorporato in questo pianeta, e oltre l’orizzonte c’è più di quanto possiamo vedere. Sappiamo tutti che non si può mai raggiungere l’orizzonte, rimane sempre; non potrebbe essere che è lo stesso con le nostre menti? Proprio come c’è un limite a ciò che possiamo vedere in un qualsiasi momento particolare, c’è un limite a ciò che concepiamo in un qualsiasi momento particolare. Quando l’uomo è limitato dal suo orizzonte va in viaggio per vedere che cosa c’è dove la terra e il cielo si incontrano, tuttavia quando arriva all’orizzonte della sua mente, troppo spesso reagisce dicendo: “Ora ho visto tutto ciò che c’è da vedere”. Allora l’orizzonte è diventato un muro, un grande muro impenetrabile, il muro di Berlino, la Grande Muraglia Cinese, il muro di filo spinato di un campo di concentramento. Allora cominciamo a chiedere a noi stessi, quale può essere lo scopo del nostro vivere in questo campo di concentramento? Certamente ci deve essere qualche ragione per essere qui, intrappolati in questo meraviglioso ‘Audace Nuovo Mondo’.


Ed è a quel punto che lì incomincia ciò che chiamiamo la vita interiore, un viaggio all’interno, una ricerca della verità, lo sviluppo spirituale, non importa come vuoi chiamarlo; l’incominciare a cercare di andare verso e oltre l’orizzonte della nostra mente, a cercare di vedere al di là degli scopi che abbiamo stabilito per noi stessi, a cercare di sperimentare più di ciò che conosciamo già. E’ a questo punto che possiamo cominciare a dire che c’è uno scopo elementare definito che l’uomo ha, dopo la procreazione e tutti gli altri scopi naturali, che possiamo chiamare scopi inconsci.


Il primo scopo conscio che abbiamo non è di salvare il mondo, ma la ricerca di uno scopo per salvarlo. Quando cominciamo a vedere, a scaricare questo e anche tanti altri scopi carichi di emozioni, scopi protettivi che abbiamo usato per rendere sentimentali le nostre vite, quando cominciamo a spingerci indietro, andando sempre più dentro l’orizzonte della nostra mente,oltre il limite della concettualizzazione, andiamo alla ricerca del vincolo successivo con cui indubbiamente,innegabilmente, proprio come il piccolo pesce, ci congiungeremo.


Ho l’impressione che la maggior parte della gente nel mondo si sente senza scopo. Non sanno onestamente perché vivono; spesso hanno bisogno di una droga per uccidere la questione. Passano attraverso ogni sorta di contorsione per congratularsi con se stessi e con gli altri di essere sulla strada giusta, perché fondamentalmente sanno dentro se stessi che non lo sono. Le mie impressioni potrebbero essere sbagliate, ma diventano ogni giorno per me più forti. In tutto il mondo le persone vegetano; alcune in Ghana, alcune in India, alcune in Inghilterra, alcune in America, alcune in Russia e, proprio come la crescita dei fagiolini, crescono verso l’alto perché c’è la forza per salire dentro di loro, ma non sanno perché, e questa è la cosa che si sforzano di più di dimenticare. Possiamo dimenticarla per un po’; puoi dimenticare tramite l’interesse nello studio, con l’ambizione per il potere, con il desiderio di divertimento, tuttavia questa questione rimarrà fino alla fine delle nostre vite. Più superficiali le persone sono, (se posso fare un tale giudizio) più sono state capaci di spegnere questo segnale dall’intimo. Perché?


A questo punto alcune persone possono dire che, se hanno compreso ciò che è stato presentato, l’uomo non ha uno scopo. La risposta è sì e no; l’uomo che non lo cerca non ha uno scopo. Chi lo cerca non lo troverà mai; andrà attraverso mille scopi, a mille passi dall’orizzonte che si espande sempre, e non arriva mai alla fine. E’ precisamente questo che giustifica tutta la filosofia, la ricerca del significato,la religione,la devozione, le chiese, i guru, lo yoga, perché ci sono tantissime persone che stanno cercando, ognuno a modo suo, al suo livello o grado di concettualizzazione,dal suo punto di vista culturale. Ed è questa ricerca angosciosa di uno scopo, di una risposta – perché uno scopo dà significato e completezza, dà sicurezza - che ha causato l’intero trip religioso in cui l’uomo si trova. Ora possiamo cominciare a comprendere queste religioni un po’ meglio, possiamo cominciare a classificarle in quelle che aiutano a mettere a dormire la questione, che sono le filosofie oppio, e in quelle che aiutano a rompere la questione per aprirla, sempre più profondamente dentro noi stessi. Puoi cominciare a vedere che la maggioranza della gente è sempre andata e andrà sempre sulla facile strada del mettere la questione a dormire. Qual è il mio scopo? E la risposta che mi do é: “Io lo metto a dormire”. Non possiamo affrontare il fatto che siamo senza scopo, che quando soddisfiamo i nostri bisogni fisici e psicologici finiamo per essere delle cose incredibilmente complicate. Ma perché? Per che cosa? Per congratulazioni reciproche?


Lo scopo si trova nella ricerca, non nella sua protezione o nella sua giustificazione. Questa è la differenza tra il piccolo pesce e il piccolo uomo: il piccolo pesce non può cercare il suo scopo, e l’uomo può. Non so se sentite il meraviglioso coraggio e la speranza di questa affermazione, il potere positivo di questo punto di vista. La differenza fra ciò che ci rende umani e ciò che ci rende animali è che possiamo cercare uno scopo nella creazione vuota e senza senso dell’illusione. Alcune persone possono perdersi in questo approccio o cominceranno a chiedersi come ricercare. Può non essere semplice – nessuno può veramente dire come – ma ci sono alcune cose che possiamo imparare su questo. Per prima cosa, dobbiamo liberarci, abbandonare, il più possibile, gli attaccamenti sentimentali al giusto e allo sbagliato, al bene e al male, alla nostra personale importanza. Queste cose hanno senso, sono semplici; non serve un libro intero di prove ad ognuno di noi per vedere chiaramente che nell’universo noi non siamo importanti. La nostra importanza è per noi stessi, e l’attaccamento a ciò è sentimentale.


In secondo luogo, non si può trovare lo scopo negando la vita. Se si sta cercando lo scopo della vita, questo si deve trovare nell’essere completamente vivi, nell’essenza stessa di quella esperienza. Questa è una deviazione importante dai tanti insegnamenti diversi che cercano lo scopo della vita fuori dalla vita; oppure dopo la morte, che è semplicemente un non voler affrontare il fatto che tutti noi moriremo; o, in una applicazione artificiale di ciò tale da negare le emozioni naturali, le funzioni naturali, le energie vitali e le direzioni normali. Il primo e più importante scopo del piccolo pesce è, per esempio, la procreazione, e dato che ci sono diversi livelli di scopi, così uno degli scopi dell’uomo e della donna è la procreazione – una normale, naturale, sana esperienza che dobbiamo attraversare. Questo è un posto dove si potrebbe cercare lo scopo, non nell’essere un monaco o un asceta.


Il Sufismo non cerca il raggiungimento dello scopo della vita in qualche applicazione artificiale, ma nella vita stessa, e questa è la ragione per cui, simbolicamente, diciamo che la nostra bibbia, il nostro libro sacro, è la natura, il libro della natura. E’ l’unica scrittura che può realmente illuminarci, che può aiutarci a liberare noi stessi dalla sovra-enfasi sulla nostra personale importanza. Essa mostra cosa la pace sia veramente: non la pace di essere seduti su un tappeto morbido fra quattro mura, ma la pace della natura, che include tensione, rendendo con ciò la pace reale. Non la pace di un parco dove tutte le erbacce sono attentamente tolte, le rose ben tagliate, i bordi dei prati tenuti diritti ed i rami caduti tutti raccolti – questa non è la natura, è un’applicazione artificiale di essa.Terzo, lo scopo si trova nella ricerca che ci porta a diventare più leggeri. Cosa vuol dire questo? Non lo so, è un’affermazione soggettiva. Se ci si muove in una direzione per cercare uno scopo, e si trova che ciò ci fa sentire più pesanti – “Per l’amor del cielo, c’è una crisi e devo fare qualcosa!” – allora questo è lo scopo che individualizza, che tende verso una giustificazione spaventosa, messianica della nostra vita.


La ricerca del nostro scopo si trova in una via che diventa più leggera e più libera. Quando noi ci solleviamo dalla terra perdiamo la gravità, possiamo saltare e con un balzo salire per sempre, perdendo la resistenza che ci porta indietro alla pesantezza dell’imperfezione, alla densità della manifestazione – perché, in ogni caso, tutti noi sappiamo che siamo destinati ad andare là, sia che crediamo o no nella vita dopo la morte. In questo punto di separazione c’è una perdita di peso – peso fisico, peso mentale, peso emozionale, ogni tipo di peso. Se mentre viviamo nella vita cerchiamo uno scopo, il nostro scopo, uno scopo significativo che sia raggiungibile, equilibrato e consistente, deve essere uno che ci porti alla leggerezza, per quanto vogliamo concepirlo soggettivamente.


Che sentimento meraviglioso se si potesse danzare nella vita con la gioia e la pace di dire: “Non c’è necessariamente una causa per la mia danza che è assoluta; non c‘è necessariamente uno scopo alla mia danza che limiti il suo movimento; c’è soltanto la gioia della danza”. Se si comincia a danzare e si dice: “Ora vado a danzare perché mi è stato richiesto di fare la danza perché è una cosa giusta da fare, perché mi porterà verso la santità”, allora la danza non ha nessun valore, diventa un’esecuzione.


La conglomerazione della vita moderna, di pensieri e strutture, scienza e filosofia ed i dettagli meravigliosi dell’organizzazione economica e sociale che abbiamo costruito, possono essere paragonati ad un’opera: un palcoscenico meraviglioso, una finzione considerata nei minimi particolari dettagli che una formica può sperimentare. L’opera sembra essere una leggenda, qualcosa che era vero una volta, ma è diventato una leggenda perché abbiamo dimenticato di che cosa si trattava realmente; abbiamo dimenticato che cosa realmente succedeva e così noi la recitiamo di nuovo, la recitiamo e ri-recitiamo. Così noi tutti andiamo, attori, cantanti, violinisti, direttori d’orchestra, ed eseguiamo quest’opera fantastica. Tuttavia in profondità dentro il nostro subconscio, ognuno di noi sa che la leggenda era vera, ma ci chiediamo, che cosa succedeva realmente?Alla fine uno o due ribelli lasciano la scena dell’opera, ponderano, ritornano, rimuovono se stessi dal rumore e dalla bellezza, dal dramma e dal palcoscenico meraviglioso che pesa incredibilmente nel potere del suo spettacolo, nella sua trance ipnotica. Come si esce da una porta, fuori nella foresta, si può sperimentare la leggenda dell’opera, ma arrivano anche nuove sottigliezze. L’intero peso di ciò che succede nell’opera si alleggerisce, e allora avremo improvvisamente una visione di ciò che realmente era successo. Questa è la strada mistica. Lo scopo che sta cercando, rassegnato che non sarà mai trovato.



(23 Luglio 1973)

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