Sono arrivata a pensare che qualunque cosa io faccia o dica non ha valore.
Sono arrivata a pensare che l’oblio è meglio della vita vissuta.
Sono arrivata a pensare che la fuga sia l’unica cosa che io possa fare. Fuggire dalle cose e soprattutto dalle persone. Allontanarmi da loro e allontanarle da me. Non avvicinarmi a loro e non farle avvicinare a me. Perché le parole dette una sera dalla persona che forse più ho amato continuano a risuonarmi in testa e tutte le volte sono una pugnalata e tutte le volte mi fanno morire dentro. “Tu con una mano mi avvicini e con l’altra mi respingi”. E il fatto che lei abbia pensato questo, anche se solo per un istante, è uno dei miei più grandi rimorsi. E non mi dà pace. Mi tormenta. Continuamente. Ossessivamente.
Sono arrivata a pensare che l’unico modo per sentirmi viva sia farmi del male. Ma è davvero l’unico modo?
Sono arrivata a pensare che qui non ci sia posto per me. Per via di un vecchio rifiuto. Ma che c’entro io?
Sono arrivata a pensare che c’è un solo modo per stare meglio. Ma la soluzione non può essere quella. Altrimenti che senso avrebbe tutto il resto?
Sono arrivata a pensare che il mio posto sia con i morti. Perché loro sono in pace. Perché mi manca la loro presenza, il loro contatto fisico, i loro abbracci, il loro amore.
Sono arrivata a pensare che la mia vita non è nulla. La vita non può essere nulla.
Sono arrivata a pensare che io non sono nulla.
Sono arrivata a pensare che non sono nulla perché non so chi sono. Perché una persona non ha fatto la cosa giusta, devo essere io a sentirmi così? È così importante? E perché mi deve fare sprofondare in un abisso? E perché devo espiare io le loro mancanze?
Sono arrivata a pensare che l’amore non è altro che una catena. L’amore non può essere questo. O solo questo.
Sono arrivata a pensare che questo stare male è tutto quello che mi merito. Che non posso aspirare ad altro.
Sono arrivata a pensare che la solitudine sia la mia sola ed unica condizione.
Sono arrivata a pensare che per me non può esistere felicità, o amore, o amicizia. O serenità. O pace. Ed è giusto non avere mezze misure nell’essere felice o nell’essere triste? Nel fatto che non esistono piccole gioie o piccoli dispiaceri, ma solo grandi gioie e profondi dispiaceri?
Sono arrivata a pensare che io mi devo fare carico delle colpe e delle mancanze altrui.
Sono arrivata a pensare che devo proteggere le persone dalle cose brutte, che dipendano o meno da me, e che questo è il mio compito. Spetta davvero a me far sì di proteggerli?
Sono arrivata a pensare che la rabbia che provo sia giusta. Ma è rabbia verso di me. Per cosa non so. Forse perché permetto a cose o persone al di fuori, che non contano niente, di farmi del male. Di avere un qualche potere su di me. Di manipolare i miei pensieri e i miei sentimenti. Anche se per loro io è come se neanche esistessi. Ma io lascio che entrino nel mio cuore e li lascio distruggere quello che di buono c’è dentro. Li lascio calpestare ogni ricordo, ogni cosa bella, ogni cosa viva.
Sono arrivata a pensare che l’oblio è meglio della vita vissuta.
Sono arrivata a pensare che la fuga sia l’unica cosa che io possa fare. Fuggire dalle cose e soprattutto dalle persone. Allontanarmi da loro e allontanarle da me. Non avvicinarmi a loro e non farle avvicinare a me. Perché le parole dette una sera dalla persona che forse più ho amato continuano a risuonarmi in testa e tutte le volte sono una pugnalata e tutte le volte mi fanno morire dentro. “Tu con una mano mi avvicini e con l’altra mi respingi”. E il fatto che lei abbia pensato questo, anche se solo per un istante, è uno dei miei più grandi rimorsi. E non mi dà pace. Mi tormenta. Continuamente. Ossessivamente.
Sono arrivata a pensare che l’unico modo per sentirmi viva sia farmi del male. Ma è davvero l’unico modo?
Sono arrivata a pensare che qui non ci sia posto per me. Per via di un vecchio rifiuto. Ma che c’entro io?
Sono arrivata a pensare che c’è un solo modo per stare meglio. Ma la soluzione non può essere quella. Altrimenti che senso avrebbe tutto il resto?
Sono arrivata a pensare che il mio posto sia con i morti. Perché loro sono in pace. Perché mi manca la loro presenza, il loro contatto fisico, i loro abbracci, il loro amore.
Sono arrivata a pensare che la mia vita non è nulla. La vita non può essere nulla.
Sono arrivata a pensare che io non sono nulla.
Sono arrivata a pensare che non sono nulla perché non so chi sono. Perché una persona non ha fatto la cosa giusta, devo essere io a sentirmi così? È così importante? E perché mi deve fare sprofondare in un abisso? E perché devo espiare io le loro mancanze?
Sono arrivata a pensare che l’amore non è altro che una catena. L’amore non può essere questo. O solo questo.
Sono arrivata a pensare che questo stare male è tutto quello che mi merito. Che non posso aspirare ad altro.
Sono arrivata a pensare che la solitudine sia la mia sola ed unica condizione.
Sono arrivata a pensare che per me non può esistere felicità, o amore, o amicizia. O serenità. O pace. Ed è giusto non avere mezze misure nell’essere felice o nell’essere triste? Nel fatto che non esistono piccole gioie o piccoli dispiaceri, ma solo grandi gioie e profondi dispiaceri?
Sono arrivata a pensare che io mi devo fare carico delle colpe e delle mancanze altrui.
Sono arrivata a pensare che devo proteggere le persone dalle cose brutte, che dipendano o meno da me, e che questo è il mio compito. Spetta davvero a me far sì di proteggerli?
Sono arrivata a pensare che la rabbia che provo sia giusta. Ma è rabbia verso di me. Per cosa non so. Forse perché permetto a cose o persone al di fuori, che non contano niente, di farmi del male. Di avere un qualche potere su di me. Di manipolare i miei pensieri e i miei sentimenti. Anche se per loro io è come se neanche esistessi. Ma io lascio che entrino nel mio cuore e li lascio distruggere quello che di buono c’è dentro. Li lascio calpestare ogni ricordo, ogni cosa bella, ogni cosa viva.
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